29.9.08
6:00 PM
Una lumaca
Quasi non vedevo più. Pioveva poco, anzi era qualcosa simile a pioggia, ma che non era: strati ed ancora strati di cielo, che improvvisamente cedevano alla forza di gravità e si scioglievano sulla terra. Mi sentivo sporca, sporca di fango e riflessi bianchi. La luce delle vetrate si confondevano e creavano luci, finti arcobaleni. Rimanevo lì appiccicata alle sbarre di ferro del cancello. Sarò stata lì non so quante mezz'ore. E più pioveva, più mi ci attaccavo.
"Cosa fai qui?"
Avevo un viso, un viso di donna a pochi centimentri da me. Quel volto stava immobile.
E come se non avesse sentito, si aggrappò anche lei alle sbarre del cancello. Fissava il vuoto.
Poi si voltò. Ed era tristezza. Solo questo un'immensa tristezza. Non avevo visto chi l'aveva chiamata. Era solo voce. E sono rimasti minuti a fissarsi negli occhi, al buio. Poi l'illuminazione, la rabbia: "Fammi uscire, non voglio rimanere un minuto di più."
E lui, bianco come un'apparizione, quasi paterno nel sindacare, che insomma era davanti a casa sua, dall'altra parte del cancello, che erano le due del mattino, pioveva e poi mica era dentro. Non avevo suonato il campanello, ma lei insomma se non riusciva a dormire, cos'era venuta lì a fare?Doveva smetterla di bere.
Poi la voce piano piano scomparve.
Scomparve tutto.
La ritrovai sdraiata sotto un albero, senza aver il coraggio di prendere sonno. Con la fronte che scottava. Io, dal mio piccolo canto, mi arrampicai su una sua scarpa. E stetti lì mentre il paese si svegliava.

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