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e poi ancora scritti.
"Preferisco il ridicolo di scrivere poesie al ridicolo di non scriverle" (Szymborska)
Alice, Age, 26
Costantemente alla ricerca di qualcosa.
"Fumo di fumi, vento che ha fame. Tutto non è che fumo. C'è un guadagno per l'uomo, in tutto lo sforzo suo che fa penando sotto il sole? Vengono a nascere, i nati vanno via e da sempre la terra è là. E il sole che si leva è sole tramontato. Il vento gira e gira, altro non fa che giri. E verserai nel mare tutti i fiumi e mai riempirsi il mare. C'è sforzo in ogni parola, l'uomo pena nel dire. Il vedere mai sazia l'occhio, mai l'udire è troppo all'orecchio. Ogni sarà già fu. Il si farà fu fatto. Non si dà sotto il sole la novità. Nessuno rinomina i primi, non c'è più nome di chi sarà. Niente ricorda chi fu. Niente ricorda chi verrà poi... "
Santo Stefano 2006 - 18 Ottobre 2008 Assurdamente dedicato.
16.10.08
10:01 PM
Breve scorcio di una mattinata storta
Questa mattina il cielo arancione, un camion fermo in mezzo alla strada, traffico e vento. L'autunno striscia per la provinciale e fa impazzire i semafori sempre sul giallo forse per adattarsi anche loro al colore del primo sole. Palazzi dietro il cavalcavia, rumorosi di treni che sfrecciano. Poi semplicemente, tu. Da due giorni ti vedo. Tu non vedi me.
Il primo giorno ho pianto, perchè volevo lasciare la macchina, piantarla in mezzo all'incrocio, uscire dal finestrino e correrti incontro. Dirti: "Chiamami, perchè non lo fai più?" Poi stavo per investire dei ragazzi che attraversavano la strada. Dall'altra parte una macchina, ed un altro dell'allegra compagnia che rideva, li chiamava ed agitava la mano. In mezzo alla strada solamente io, con la bocca spalancata.
Questa mattina nuovamente. Ma ho fatto finta di nulla, nonostante il trasporto eccezionale abbandonato in mezzo alla corsia. Dal tuo canto, hai sbirciato cosa succedeva, spettinato e mezzo addormentato. Eri di una bellezza spaventosa. Almeno, io ti vedevo così. Davanti a te, davanti a quello spettacolo imprevisto, il sole, meravigliosa palla di specchi rossa che si alzava dai palazzi e poi ancora dietro dalle colline. I primi cinque minuti di un mattino storto. Mi sono ripromessa di non cercarti più e nemmeno stasera o domani, lo farò. Di non bere. Di non fare nulla. Nemmeno aspettare. Stanotte mi da fastidio ogni voce. E purtroppo sono appena le dieci.
Voglio raccontarti di un sogno: un amico ubriaco, un barista ciccione e fuori la guerra. La guerra vera, con bombe, cecchini, stupri e bambini senza gli occhi per strada. In tutto questo una felicità sgraziata, di cercare un locale dove c'era buona musica. Lì degli zingari... almeno, sembravano tali. C'era un uomo, aveva una sciarpa al collo ed in testa, parlava una lingua fatta di seghi e croci con le mani sopra il petto. Sembrava avesse paura, di qualcosa... ma non di morire. Vicino a lui, sua moglie. In festa. Diceva che stava vedendo tutti i suoi antenati, e che avrebbero chiamato altra gente per festeggiare finalmente la fine del mondo. C'erano anche delle ragazze che ridevano e poi in piazza avrebbero ballato. Io non mi reggevo in piedi. Sognavo d'essermi drogata... Così mi avvicinai a quell'uomo ed aveva gli occhi più belli che avessi mai visto, non ricordo neanche il colore o la forma... ma so che erano belli, senza nome. Ma dovevo andarmene da lì. Prima che tutto finisse. Dov'era mia madre? Mio padre? I telefoni erano muti da un bel pezzo. Ma rubai una macchina. Non riuscivo a fare la salita che portava alla strada principale. Aveva le gomme a terra, senza un finestrino ed ero drogata... le forme... i colori. Poi, finalmente... la strada, l'autostrada, ponti distrutti, cavalcavia squarciati e casa mia. I miei genitori ancora vivi, barricavano le finestre, ma nessuno di noi doveva rifugiarsi in cantina. La notte ripresi la strada che avevo lasciato e camminando tornai alla periferia del paese, dove si erano accampati gli stranieri che avevo incontrato. Lì le ragazze, variopinte, non la smettevano di ballare e tante fiaccole erano accese. I bidoni incendiati, pure le macchine. Il fumo faceva lacrimare gli occhi, ma la musica non smetteva. "Non sarebbe mai smessa." Mi disse, dietro le spalle, l'uomo dagli occhi che non ricordo. E sorrideva.
I tre cassetti sono chiusi. Fuori molti rumori a richiamare l'idea del clima festivo. Qui di festivo, c'è solo il disordine e la passione di una giacca gettata al suolo. Sopra un gomitolo di lana rossa ed un baffo di gatto intrappolato nel mezzo. Poi, intorno, braccialetti, collane, anelli, siarpe ed una scarpa. L'altra non si sa dove sia. Forse in strada, con il gatto. Dicono che trovarne uno porti fortuna, ed quella parte felina dimenticata spunta come un segnale dalla lana arrotolata. Una fortuna addomesticata dall'accumolo del suo gioco preferito. Il clima feriale, gente che apre la porta e curiosa, tutto si sovrappone alla calma di un vecchio seduto sulle scalinate del negozio. Nulla da cercare o da combattere, lo sguardo verso il sole. Tradimenti, affanni, lotte, cammini, nemmeno l'amore... fuori inzia a piovere. I tre cassetti sono chiusi.
Ho bisogno. Offrimi qualcosa. Almeno, l'attenzione. Sei il mio appiglio diverso. Ho imparato, dopo sette mesi a toccarti. Sto sfogliando un vecchio appunto, macchiato d'acqua e d'inchiostro: dicevo, che non riuscivo ad allungare una mano sopra il tuo polso.
Se le parole valessero qualcosa. Se non io almeno loro. A volte sono stanca, quando arriva così presto l'ora d'andare a letto ed ho come una mano sopra la gola. Mi sento ridicola. Se esistesse qualcos'altro da tutto questo, questo che non mi piace.